Non so esattamente perché - anzi, forse sì. Nel senso che le ragioni sono molte, tutte collegate e intersecate inestricabilmente – ma il risultato è che sono profondamente incazzato.
Da qualche giorno in particolare sento ribollire in me una rabbia sorda, contro tutto. Una profonda insoddisfazione. E non è una bella cosa. È uno stato d’animo che non mi appartiene. O meglio, che non mi è mai appartenuto e del quale avrei fatto volentieri a meno di fare la conoscenza.
Io mi sono sempre alzato di buon umore. La mattina scattavo subito a fare la doccia progettando la giornata all’attacco. Fissando mentalmente, mentre mi facevo la barba, gli obiettivi della giornata. Con energia, voglia di fare e la giusta carica positiva. Arrivavo in ufficio e sebbene il lavoro fosse duro ed intenso, l’ambiente era improntato ad un’impegnata, efficiente energia e soprattutto pervaso da una normale allegria. Il modo migliore per ottenere buoni risultati faticando, ma con il sorriso sulle labbra.
Lavoro qui da 6 mesi e da quando son qui, non è più così. Faccio fatica a levarmi dal letto. Mi alzo incazzato, faccio colazione svogliatamente. Arrivo in ufficio e mi tocca incazzarmi per l’inefficienza, l’indolenza, il modo sconclusionato di fare le cose. L’incapacità dei miei collaboratori di stabilire un ordine di priorità negli adempimenti. Le decisioni organizzative e operative lungamente discusse e condivise, vengono attuate per non più di 3 giorni, poi il “sistema” è come se si resettasse e bisogna ripartire da capo. Le cose più semplici si complicano in maniera inspiegabile. Tutto avanza a fatica, tra disorganizzazione, scontento, conflitti.
Mi tocca arrendermi all’evidenza. Una pianta cresciuta storta per 3 anni, non si raddrizza.
Come diceva un mio collega napoletano: ha da passà a nuttata!